martedì 15 aprile 2014

RECENSIONE: LEON RUSSELL (Life Journey)

LEON RUSSELL  Life Journey (Universal Music, 2014)



A leggere le note di retro copertina pare di trovarsi di fronte ad una sorta di testamento musicale in cui il settantaduenne Leon Russell allinea i suoi "maestri", un tributo a tutti i musicisti che ne hanno segnato la carriera (più due nuove composizioni scritte di suo pugno). Esce adesso che il viaggio-di vita-è quasi arrivato alla fine, come ripete più volte, evidentemente affranto dai tanti problemi fisici che lo perseguitano. Facendo i dovuti scongiuri si spera non sia così- anche se qualche buontempone, recentemente, ha pure messo in giro la "bufala" della sua presunta morte-perché il carismatico musicista dell'Oklahoma sta vivendo una seconda brillante giovinezza che sembra quasi una continuazione degli anni d'oro gravitanti intorno al carrozzone messo in piedi con Joe Cocker prima e dalle cause umanitarie promosse da George Harrison dopo, che lo videro protagonista e che lo portarono al centro della scena musicale americana tra il 1969 e il 1973, facendolo diventare il più grande turnista americano dell'epoca ma anche con un paio di dischi solisti da enciclopedia rock sul groppone ed un passato remoto di tutto rispetto alla corte di Phil Spector. Non esiste più lo straripante e fantasioso performer di quegli anni, ma è rimasto l'ineguagliabile feeling del saggio fuoriclasse capace di portare le canzoni-e che canzoni- verso i suoni che hanno caratterizzato tutta la carriera: blues, swing, R & B, country, jazz, dixieland (la sua contagiosa Down In Dixieland, posta in chiusura e suonata con la Dixieland Band di John Clayton è un omaggio al genere di New Orleans. Più che riuscito numero da big band.).
Già lo splendido The Union (2010) condiviso con sir Elton John aveva lasciato intravedere segnali positivi e l'ispirazione dei vecchi tempi andati, facendo dimenticare i tanti anni di oblio-la stessa cosa che sta succedendo all'ispiratissimo Elton John degli ultimi lavori. Con il baronetto inglese ancora dietro alle quinte come produttore esecutivo e con il veterano produttore di estrazione jazz Tommy Lipuma a dare consigli ("il miglior produttore con cui abbia mai lavorato" dice Russell),  Life Journey è a suo modo un piccolo classico-costruito sui classici dell'american songbook-che ammalia da cima a fondo senza mai stancare, tenuto legato dall'inconfondibile voce strascicata e arrochita che serpeggia, graffia ancora nei momenti up-tempo, quasi commuove quando ci si rilassa, mettendo in campo il classico blues riletto e modificato (Come On In My Kitchen di Robert Johnson), trascinanti rock'n'roll guidati da un piano barrellhouse (la sua Black Lips), confidenziali evergreen che più classici non si puo' come Georgia On My Mind portata al successo dal suo mito di gioventù Ray Charles, I Really Miss You di Paul Anka e I Got It Bad And That Ain't Good, tutte arricchite dalla presentissima sezione fiati della Clayton Hamilton Jazz Orchestra.
Fever ha l'indole rock'n'roll con la voce di Russell scatenata e protagonista assoluta che un solo attimo dopo sa veleggiare lentamente sopra alla sonnacchiosa pedal steel di Greg Leisz in Think Of Me e nella solarità country/soul/gospel di That Lucky Old Sun. E poi ancora numeri di alta classe come The Masquerade Is Over e New York State Of mind  di Billy Joel, anticipata da una personale intro e riletta con  devozione e bravura, non perdendo per strada nulla dello skyline metropolitano dipinto da Joel a suo tempo, nonostante Russell abbia dichiarato di conoscere solo vagamente la canzone, prontamente propostagli dal produttore Lipuma.
Classe infinita. "Master Of Space And Time" ancora una volta, non l'ultima. Vero
Russell?


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