giovedì 3 aprile 2014

RECENSIONE: MATT WALDON (Learn To Love) & INTERVISTA a MATT WALDON

MATT WALDON Learn To Love  (Arkham Records, 2014)




Dopo Ottobre arriva Novembre. Sempre Autunno è. La stagione delle sfumature più belle e intense è ancora una volta la preferita di Matt Waldon, schietto cantautore veneto con la spiccata dote dell'introspezione e l'onestà del buon ragazzo che non pretende di sgomitare troppo per farsi largo, lasciando alle sole canzoni il compito di parlare. Il primo singolo Under Your Breath ha la lingua giusta per farlo: un lieve violino ad allungare le lettere delle parole (Micol Tosatti), la sua voce doppiata (da Samanta Gorda) e la chitarra elettrica di Kevin Salem a mettere la punteggiatura finale. Le radio americane già se ne sono accorte.
Questo suo secondo lavoro, concepito lungo l'infinita strada che da Padova e Rovigo porta a Woodstock, NY, dove è stato effettuato il missaggio ad opera di Kevin Salem, si presenta in modo ancor più omogeneo rispetto al precedente e già ottimo Oktober (2012). Mancano i graffi rock che grattavano la superficie ma quest'ultima si è fatta più compatta, distesa e accomodante e tutto si concentra nei trenta minuti costruiti con dovizia e bravura su acustiche ballate che sembrano nate lungo i pochi minuti che separano le amare passeggiate tra la tranquillità dell'alba e l'arrivo frenetico del giorno, tra i pensieri persi in un tramonto e la misteriosa pace notturna dell'oscurità. Un tempo ristretto della sua vita messo in musica. Un attimo fuggente, colto, masticato e suonato con strumentazione quasi totalmente acustica e gravitante tra i pianeti dell'amato Ryan Adams più introspettivo e le stelle mai cadenti di alcuni passaggi che mi hanno ricordato Steve Earle o le ultime produzioni del vecchio giaguaro John Mellencamp, quelle targhate T Bone Burnett, come nella bella You Can Run As Far, con la slide di Enrico Ghetti, la batteria di Giampietro Viola, il basso di Damiano Marin e la fisarmonica di Walter Sigolo che giocano intimamente-ma intensamente-di squadra. Nella sua pur breve mezz'ora di durata, il disco è ricco di buoni spunti: a partire da un ospite di prim'ordine come l'amico Neal Casal (lunga carriera solista ma anche nei Cardinals di Ryan Adams, nei lisergici Chris Robinson Brotherhood e gli ultimi arrivati Hard Working Americans) che presta la sua chitarra elettrica e accompagna Learn To Love verso l'alta perfezione. Per Matt un bel sogno che si avvera, per noi una bella canzone da ascoltare.
L'aspetto acustico che pervade tutte le canzoni (gli umori cangianti di Fast Clouds, l'opener Broken, la notturna e tesa Devils On The Feeway)  ha un sussulto nel tenebroso e riuscitissimo border folk che ispira l'armonica di Kevin Salem, riportando alla mente il vecchio Tom Russell, ma anche il primo e ruspante Ryan Bingham di Mescalito.
Mi piace sottolineare, inoltre, la bella rilettura a tutta band di New York City, canzone di Keith Caputo (ora Mina Caputo, dopo il cambio di sesso), ex cantante dei Life Of Agony che iniziò la sua carriera solista con Died Laughing-disco che consiglio sempre vivamente (vedi riquadro sotto)- e da cui è estratta questa cruda ode alla città di New York, che Matt ha fatto sua dopo un viaggio nella grande mela. Completano due bonus track: l'intima e folkie per sola voce e chitarra Moon Kills Sun e la particolare Sweetness con il piano di Mrmichael in primo piano.
(Enzo Curelli)


INTERVISTA  a MATT WALDON
Finito l’ascolto, è chiara la differenza con il precedente ‘Oktober’. Questo è un disco più compatto, omogeneo e quasi esclusivamente acustico, figlio, credo, di un tempo ristretto e delimitato della tua vita. Come è nato?
È nato un po’ per caso, avevo brani pronti per 2 dischi, brani completamente diversi tra di loro, metà acustici e di stampo chiaramente folk e metà molto più rock e chitarristici. L’idea iniziale era di fare il disco rock e più commerciale, poi riflettendoci bene l’idea dell’acustico ha finito con il conquistarmi, forse più azzardata come scelta ma i brani di questo Learn To Love rispecchiano di più quanto vissuto personalmente durante quest’ultimo anno.

Quindi possiamo attenderci un altro disco a breve?
A breve non penso, questo disco e' stato veramente sofferto e mi ha proprio spremuto molto a livello di risorse, i brani ci sono ma non e' matematico che debba usare proprio quelli per un nuovo disco! Vedremo insomma, comunque qualcosa a breve certamente no.


Tempo fa, se non ricordo male, su facebook facesti anche un gioco/referendum chiedendo ai tuoi contatti come avrebbero voluto il tuo prossimo disco: acustico o elettrico. E’ stato determinante anche questo esito o era solo un gioco, appunto?
Vedo che mi segui e hai una buona memoria! Ah ah... Volevo tastare un po’ il polso della gente che ascolta la mia musica per capire un po’ in che versione piacevo di più, ma il referendum non è stato per nulla decisivo, lo è stato forse il consiglio di un amico nonché gran musicista che poi ha collaborato al disco (Neal Casal).

Ecco Neal Casal. Dopo anni di amicizia, Neal Casal ha suonato in un tuo disco. Soddisfatto? Hai ascoltato le sue ultime collaborazioni con Chris Robinson e con gli Hard Working Americans, cosa ne pensi?
Soddisfatto? Diciamo che ho realizzato un mio sogno! Siamo sempre rimasti in contatto in questi anni ed è sempre stata una persona splendida e disponibile con me, disponibilità che mi ha spiazzato anche in questo caso. In realtà ci eravamo sentiti anche quando stavo registrando “Oktober” ma in quel periodo lui era presissimo nel progetto con Chris Robinson e non aveva tempo materiale per collaborare al mio disco. Inizio a godermi ora piano piano questo suo immenso regalo, ascolto dopo ascolto, quando mi arrivarono le sue registrazioni di chitarra non transitavo attraverso uno splendido periodo personale e non ebbi modo di godere a pieno. Si certo che lo seguo, i due progetti che ha intrapreso sono molto differenti a livello musicale tra di loro, con Chris esplora sonorità musicali che ci riportano un po’ alle atmosfere psichedeliche dei Grateful Dead & degli Allman Brothers con gli Hard Working lo stampo è più classico e tipico della country roots music sudista.

Tra le canzoni che più mi hanno colpito,c’è The Heart Is A Lonely Hunter. Sembra staccarsi dal resto, una border song che mi ha ricordato il vecchio Tom Russell, ma anche il primissimo Ryan Bingham, c’è qualche bella storia dietro?
Non sei il primo tra le poche persone che hanno già ascoltato il mio nuovo disco ad accostare questo brano a Tom Russell, in realtà non ho seguito molto la sua musica e di quel poco che ho ascoltato in realtà nulla mi ha attratto in maniera così decisa, in ogni caso mai dire mai! Bingham invece lo seguo e l’ho ascoltato molto di più ma penso che questo brano sia figlio un po’ di un esigenza mia di voler provare ad esplorare sonorità e situazioni musicali non abitualmente praticate

Keith Caputo. Con me tocchi un nervo scoperto. Adoro il suo primo disco solista Died Laughing (vedi riquadro sotto), ma lo seguo fin dai tempi dei Life Of Agony (il mio periodo pane e metal), mentre ora sembra giunto ad un bivio importante della sua vita, il cambiamento di sesso. Perché hai scelto la sua New York City?
Adoro anch’io quel disco, è da li che l’ho conosciuto/a musicalmente ed ho continuato poi a seguirlo/a. E sempre stato/a un cantautore che con le sue canzoni ha saputo trasmettermi carica in un condensato di rabbia e rivalsa toccando temi ed aspetti della vita a volte scomodi. Ho scelto New York City perché forse tra i suoi tanti brani scritti era quello che più si adattava al contesto acustico del mio disco e a come volevo riarrangiarla, e poi quando decisi di inserirla nel disco arrivavo da una splendida mia prima volta nella Grande Mela e la saudade da metropoli ha in parte influito su questa scelta.

Come promuoverai il disco?
Sulla strada, on the road come si dice, su palchi, club conosciuti e meno conosciuti, perché è li che vive la vera musica.


KEITH CAPUTO-Died Laughing (2000). Un’esistenza scandita da tante cicatrici mai rimarginate completamente. Prima mimetizzate dal pesante suono HC/Metal della sua band, i newyorchesi Life Of Agony, poi lasciate in solitaria evidenza nella superficie ingannevole del trascorrere del tempo, in seguito curate dai suoi dischi solisti, che si staccano completamente dal suono della band, rifugiandosi nel cantautorato rock, acustico, intimistico, a tratti anche beatlesiano, pop e west costiano, con qualche fulmine elettrico, lascito della "sua" poco fortunata e depressa generazione grungy. I testi autobiografici sono quelli di una persona cresciuta sola che ha perso entrambi i genitori in giovane età, divorati dall’eroina e di chi non è mai riuscito a trovare il proprio io ('Selfish'), confermato dal recente cambio di sesso. Ora Keith Caputo è diventato Mina Caputo. Ora forse è felice. Una vocalità straordinaria e canzoni che toccano i nervi scoperti: la terribile infanzia negata ('Brandy Duval', 'Razzberry Mockery'), la cruda dedica alla sua città ('New York City'), un riuscito omaggio a Kurt Cobain, dove punta il dito anche sui fan, nella quasi jazzata 'Cobain (Rainbow Deadhead)'. Un disco “confessione”, intenso e sofferto che rispecchia fedelmente i tormenti del suo autore. (Enzo Curelli)






vedi anche RECENSIONE: MATT WALDON- Oktober (2012)
vedi anche RECENSIONE: CESARE CARUGI-Pontchartrain (2013)
vedi anche RECENSIONE & INTERVISTA: ALESSANDRO BATTISTINI-Cosmic Sessions (2014)
vedi anche RECENSIONE & INTERVISTA: LITTLE ANGEL & THE BONECRASHERS-J.A.B./CRISTIANO CARNIEL (2014)

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